Mi hanno chiesto di recente: "Ma un manager se si mostra umile rischia di non essere ascoltato?"
La domanda mi ha colpito, perché tocca uno dei più grandi equivoci del mondo professionale contemporaneo: l'idea che autorevolezza e umiltà siano incompatibili.
Nel silenzio delle mie riflessioni più particolari, ho compreso una verità che sconfina oltre le convenzioni: la competenza da sola è un vaso vuoto se non viene colmata dall'umiltà. Non parlo dell'umiltà come maschera sociale o come virtù predicata nei sermoni domenicali, ma di quella forza sotterranea che trasforma il talento grezzo in oro puro.
C'è qualcosa di magnetico in chi, pur possedendo l'olimpo del sapere, conserva lo sguardo curioso di un bambino davanti all'ignoto.
La competenza senza umiltà diventa rapidamente vecchia. Come un algoritmo che non si aggiorna, ripete schemi conosciuti finché il mondo intorno non li rende irrilevanti. L'esperto che si autodichiara "arrivato" è già in declino, anche se ancora non lo percepisce. Il paradosso è questo: proprio quando crediamo di non aver più nulla da imparare, iniziamo a perdere ciò che abbiamo conquistato.
L'umiltà è rivoluzionaria perché ci mantiene costantemente sul crinale tra certezza e dubbio. È quella voce interiore che sussurra "e se ci fosse un modo migliore?" anche quando tutti applaudono la nostra ultima impresa. Non è insicurezza, ma lucidità suprema - la consapevolezza che ogni verità conquistata è solo l'anticamera di un mistero più profondo.
E' l'unico antidoto contro la trappola del successo: quella zona di conforto dorata che ci illude di essere arrivati e ci distoglie dal viaggio. È il coraggio di rimanere vulnerabili quando tutto ci spingerebbe a indossare l'armatura dell'infallibilità, l'arroganza calcifica, l'umiltà fluidifica.
Ma c'è anche un altro dubbio che attanaglia coloro che mi hanno posto questa domanda.
E sì, l'umiltà autentica può perfettamente convivere con leggere "impennate caratteriali". Anzi, direi che quei momenti di intensità emotiva, quegli scatti di passione che occasionalmente attraversano anche il leader più equilibrato, possono risultare straordinariamente efficaci proprio quando emergono da un terreno di umiltà consolidata.
Sono come lampi in un cielo sereno: colpiscono con maggiore intensità proprio perché rari e inaspettati. Il manager che normalmente ascolta, pondera e coinvolge, quando occasionalmente batte il pugno sul tavolo, genera un'eco che risuona ben più potente di chi vive in perpetuo stato di agitazione autoritaria.
L'umiltà non è mai sinonimo di debolezza o di passività. È piuttosto quella qualità dinamica che ci permette di modulare i nostri comportamenti: saper essere morbidi quando serve accogliere e fermi quando è tempo di dirigere.
È quella flessibilità emotiva che crea leader autentici, capaci di mostrarsi vulnerabili senza perdere autorevolezza, di manifestare occasionali fiammate di carattere senza cadere nella tirannia.
Massimiliano Massimi
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Commenti
Ciao Max, come spesso mi accade concordo con la tua analisi che mi risulta lucida, schietta, lungimirante e soprattutto vera.
Un abbraccio